Il chicco di Caffè

Racconto vincitore Il Lato Oscuro

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Madame_Mella
view post Posted on 5/2/2012, 22:12




Ecco il racconto che ha vinto il contest 'Il Lato Oscuro'.

Il Lato Oscuro della Luna

di …•Ophelia•…



"There is no dark side of the moon really.
Matter of fact it's all dark."
Pink Floyd





La follia è il regno dell’irrazionalità, il domino dell’assurdo; la follia è quel lato oscuro oltre la ragione.

Un’altra goccia d’umidità stava scivolando lungo la parete di roccia che divideva Lucie Knightley e Hanry Lefroy dal resto del mondo. Additati come pazzi e internati, erano ormai destinati a trascorrere gli ultimi giorni della loro vita condividendo la stessa prigione, come, d’altronde, avevano sempre fatto.
Gli occhi insespressivi della donna, seduta per terra al centro della cella vuota, seguivano svogliatamente gli arzigogolati disegni che l’acqua creava sulla superficie irregolare delle pareti, mentre, lentamente, la scintilla della vita l’abbandonava.

« Da oggi il Signor Lefroy sarà il mio nuovo maggiordomo e capo del personale... », la voce grave di Richard Dashwood risuonò nel grande salone di Mantony House, mentre tutti i domestici della villa, perfettamente allineati davanti al loro padrone, si esibivano in un profondo inchino di saluto, rivolto al nuovo arrivato.
Mr. Lefroy era un giovane di origini irlandesi, che conquistò subito l’attenzione di tutti i presenti per il suo volto dai lineamenti dolci e il suo nobile aspetto.
« Lieto di fare la vostra conoscenza e di avere l’opportunità di lavorare con voi. », disse il ragazzo, inchinandosi a sua volta, prima che il Signor Dashwood lo richiamasse all’ordine e gli chiedesse di occuparsi dei preparativi per il suo bagno caldo.
Richard si sitemò la cravatta, allargandola un poco rispetto a quanto il valletto avesse ritenuto necessario, e si guardò allo specchio, mentre Hanry dava un ultimo colpo di spazzola alla giacca nera, che il suo padrone aveva deciso di indossare per la cena.
« Ecco fatto, signore. », sussurrò, alla fine, arrossendo.
Mr. Dashwood si voltò verso il suo maggiordomo, sorridendogli appena. « Vi ringrazio, Lefroy... avete fatto davvero un ottimo lavoro! »
A quelle parole il rossore sulle guance del giovane si fece più vivo, cosa che non sfuggì all’occhio attento di Richard. « Oh, suvvia, Lefroy, non mi direte che i miei complimenti vi hanno messo in imbarazzo?! Non sarete, forse, una fragile fanciulla desiderosa di attenzioni?! », lo schernì subito l’uomo, concedendosi, per una volta, una sonora risata provocatoria.
« No, signore. », si limitò a rispondere Hanry, cercando di aggrapparsi all’ultimo brandello di lucidità che gli rimaneva, nel tentativo di riprendere almeno una parte del contegno convenzionalmente richiesto.
« Bene, allora vi prego di comportarvi da perfetto gentiluomo e di scendere ad accogliere i miei ospiti per la serata, mentre io finisco di rispondere ad alcune lettere urgenti.»
Detto questo, il Signor Dashwood lasciò i suoi appartamenti per dirigersi verso lo studio al secondo piano, meno elegante rispetto alla grande stanza in cui lavorava solitamente, ma sicuramente più silenzioso.
Mr. Lefroy, rimasto solo, si affrettò ad obbedire agli ordini ricevuti, attendendo pazientemente l’arrivo della famiglia Knightley. Il rumore degli zoccoli dei cavalli e delle ruote della carrozza in avvicinamento liberò il maggiordomo dal torpore che aveva iniziato ad invaderlo. Efficentemente, svolse i convenevoli del caso, invitando gli ospiti ad accomodarsi in un salottino, dove era stato preparato un ricco rinfresco, volto a scusare la momentanea assenza del padrone di casa.
« Il Signor Dashwood scenderà a momenti, intanto vi prego di farvi tentare da questi antipasti preparati dal nostro cuoco. », intervenne Hanry, appena prima che la Signora Knightley allungasse la sua esile mano inguantata per afferrare un dolcetto, sotto lo sguardo di disapprovazione del marito.
« Vi ringrazio, signore... Ah, e vogliate riferire al vostro padrone di svolgere il suo dovere con calma e chiedergli di scusare il ritardo di nostra figlia Lucie, che è stata trattenuta da un impegno improvviso. », il tono pacato del Signor Knightley diede tranquillità al giovane Hanry, che, con un profondo inchino, si congedò.
Salite le imponenti scale di marmo bianco, il maggiordomo percorse il lungo corridoio fino a trovarsi davanti alla porta in legno di ciliegio dello studiolo del suo padrone. La voce, ormai così familiare, di Richard gli diede il permesso di entrare nella stanza, dove l’uomo era intento a scrivere, con una grafia molto elegante e sobria, alcune righe di scuse per declinare un invito all’ennesimo ballo a cui avrebbe dovuto prendere parte.
« Signore, mi duole disturbarvi, ma vi porto un messaggio dei vostri ospiti. », esordì Hanry, titubante.
« Dite pure, Lefroy... », lo esortò, allora, Mr. Dashwood, senza però distogliere lo sguardo dal foglio che aveva davanti.
« Il Signor Knightley vi prega di terminare con comodo i vostri doveri e inoltre vi chiede di perdonare il ritardo di sua figlia, che è stata improvvisamente trattenuta. ».
A quelle parole Richard spostò la sua attenzione sulla figura del giovane che aveva appena finito di parlare. « Trattenuta? », chiese, quasi con stupore misto a dispiacere.
« Si, signore, così mi dicono... Ora, se non vi dispiace, dovrei scendere in cucina per assicurarmi che tutto sia pronto per la cena.... », rispose pacatamente Hanry, inchinandosi in segno di reverenza, « E poi, sempre che voi non abbiate bisogno della mia presenza, affiderei il compito di servire il desinare alle cameriere per poter preparare al meglio la vostra camera per la notte... ».
Mr. Dashwood si alzò in piedi, sistemandosi la giacca e il panciotto. « Ma certo, andate pure... Se avrò bisogno di voi, vi farò chiamare. »
« Con permesso... », dopo un altro lieve inchino, il maggiordomo lasciò la stanza e imboccò le scale riservate alla servitù, mentre il suo padrone si apprestava a raggiungere i suoi ospiti.
« Signor Knightley... Signora... », esordì Richard, entrando nel salottino dove era stato consumato il rinfresco. « Vi chiedo di perdonarmi per l’attesa, ma alcune missive urgenti hanno richiesto la mia attenzione! », concluse, prima di inchinarsi ad entrambi i presenti.
« Oh, no, non dovete preoccuparvi! Sappiamo bene quanto siano odiose alcune lettere d’affari... », il tono allegro dell’uomo e il sorriso sincero della sua consorte fecero intuire a Mr. Dashwood che il suo personale aveva fatto davvero un ottimo lavoro e si ripromise mentalmente di ricordarsi di congratularsi con i domestici per l’eccelsa accoglienza, che, evidentemente, avevano risevato agli ospiti.
Proprio mentre la compagnia si stava avviando verso la sala da pranzo, un servitore annunciò l’arrivo della signorina Lucie Knightley. Non appena la giovane ragazza fece il suo ingresso, lo sguardo di Richard si addolcì, soffermandosi sulla sinuosa figura della fanciulla. Immediatamente, mosse qualche passo nella sua direzione, ancora ammaliato da cotanta bellezza.
« Signorina, benvenuta! », esclamò, esibendosi in un profondo inchino, in risposta alla lieve riverenza che gli era stata rivolta.
« Signor Dashwood, spero mi perdonerete per il ritardo, ma quest’oggi ero andata a far visita ad un’amica che alloggia in paese e il viaggio di ritorno è stato piuttosto periglioso. », si scusò Lucie, sorridendo all’uomo, che, intanto, aveva assunto un’epressione preoccupata.
« Spero non vi sia successo nulla di grave, state bene? », si informò subito, ansioso di conoscere lo stato di salute della ragazza.
« Oh, certo... non dovete stare in pena per me! Il cocchiere ha avuto qualche problema con i cavalli, ma, alla fine, è riuscito a trovare un signore che gli ha prestato il suo destriero per permettermi di tornare a casa... ».
La conversazione continuò una volta che tutti ebbero preso posto a tavola, mentre i camerieri iniziavano a servire le prime portate di pesce.
Presto il Signor Knightley reclamò l’ettenzione del suo giovane ospite, che si vide costretto, a malincuore, a spostare lo sguardo da Lucie a suo padre.
« Signor Dashwood, è da molto che non vedo vostro fratello, spero che non sia per problemi di salute! », esclamò il vecchio uomo, tra un boccone e l’altro.
« Non vi preoccupate, signore... Edward gode di ottima salute... è a Londra, in questo momento; da quanto ho capito dalla sua ultima missiva, credo stia organizzando il suo fidanzamento con una fanciulla incontrata ad un ballo in campagna. », rispose Richard, simulando disinteresse.
Il signor Knightley non fece in tempo a rispondere, che subito sua moglie si sentì in dovere di intervenire: « Signore, dovreste prendere esempio da lui! Sarebbe ora che portaste una signora a Mantony House! Pure mia figlia, di ben quattro anni più giovane di voi, presto sarà maritata! ».
A quelle parole le guance di Lucie si imporporarono e la ragazza abbassò lo sguardo, palesemente rattristata da quell’osservazione. Fingendo di non aver notato la reazione della signorina, Mr. Dashwood si affrettò a rispondere a quell’indiscreta considerazione.
« Mrs. Knightley, purtroppo l’amministrazione di questa tenuta impegna così tanto il mio tempo, da privarmi dell’opportunità di prendere parte a quella sorta di avvenimenti che mi permetterebbero di fare qualche incontro fortuito... », con la speranza di essere riuscito a mettere fine a quella conversazione, Richard iniziò a tagliare la carne che gli era appena stata servita, ditogliendo, momentaneamente, l’attenzione dall’espressione contrariata della signora che aveva appena messo a tacere.
Per il resto della serata, la discussione venne incentrata su questioni di affari, inducendo le due donne a rimanere in silenzio.
« Vi ringrazio per l’ottima cena che ci avete offerto, signor Dashwood... spero che accetterete di venire a farci visita presto... Vorrei far preparare per voi degli ottimi piatti di pesce... si si, il nostro cuoco si dice essere il migliore nel suo campo, sono sicura che gradirete le prelibatezze che avrà l’onore di cucinare per voi... e magari anche per vostro fratello e la sua futura mogliettina... Dovete assolutamente venirci a trovare insieme a loro! Possediamo due tenute confinanti, eppure ci vediamo così di rado... », si lamentò la Signora Knightley, a cui era stato concesso l’onore di svolgere i convenzionali ringraziamenti prima del congedo, compito che lei si apprestava a svolgere con estrema tracotanza.
« Ma naturalmente, sarò lieto di farvi visita quando più vi converrà! », rispose, pacatamente, il suo interlocutore, cercando di reprimere il moto di disgusto che quella manifestazione di superbia gli aveva provocato. Si era sempre meravigliato di come una signora di così alto lignaggio riuscisse a mettersi in ridicolo ogni volta che apriva bocca. C’era un contrasto così evidente con l’intelligenza del marito e l’ingegno della figlia, che era impossibile credere che quella fosse veramente la donna che il Signor Knightley aveva preso in sposa e la madre della bellissima Lucie.
« Cara, tu hai forse bisogno della nostra carrozza per recarti dalla tua amica malata? », chiese il padre, trattenendo con discrezione sua moglie dal salire immediatamente sulla vettura.
« Padre, non voglio privarvi della vostra carrozza, andrò a piedi... sono solo poche miglia... », rispose la giovane ragazza, con modi che dimostravano una grande premura nei confronti dei genitori.
A quel punto, il signor Dashwood non riuscì a non intervenire: « Le mie carrozze e i miei cavalli sono a vostra completa disposizione! Non fate complimenti e lasciate che mandi un mio servitore ad accompagnarvi in paese... »
Lucie arrossì e, anche se le attenzioni che il ragazzo le stava rivolgendo la compiacevano, rifiutò l’offerta. « Siete molto gentile, signore, ma non voglio arrecarvi disturbo! Accompagnerò i miei genitori a casa e poi da lì mi dirigerò nuovamente verso Lambton. »
« Come preferite, signorina... lasciate comunque che vi dica che per me servirvi è un onore, non una fonte di disturbo... », rispose brevemente l’uomo, quasi dispiaciuto per aver perso l’opportunità di fare un favore alla giovane.
Preparata le vettura, Richard aiutò la signora Knightley a salire in carrozza. « Miss. Lucie » si volse, poi, verso la fanciulla ed eseguì lo stesso compito, senza curarsi del fatto che i parenti potevano notare la tenerezza nella sua voce o l’indugiare della sua mano su quelle di lei.
Quando il mezzo di trasporto su cui viaggiava la famiglia Knightley sparì, inghiottito dalle tenebre, il signor Dashwood rientrò in casa, desideroso di avere qualche minuto di pace, prima di coricarsi. Così, silenziosamente, si diresse verso la biblioteca e sprofondò in una delle comode poltrone vicino al caminetto, lasciando che lo scopiettio del fuoco e la penobra dovuta alla luce fioca delle candele lo cullassero, conducendolo in un dolce stato di dormiveglia.
« Signore, signore... », la flebile voce di Hanry riscosse Richard dal sonno leggero nel quale era caduto. « Signore, avete bisogno di qualcosa? », continuò il maggiordomo, una volta sicuro di avere l’attenzione del suo padrone.
« Lefroy, siete voi! Ero venuto qui per rilassarmi un po’ prima di farvi chiamare, ma devo essermi addormentato... », spiegò, confusamente, Mr. Dashwood.
« Vi ho preparato la camera, signore... e l’acqua calda per lavarvi... », rispose, invece, il servitore, mentre entrambi di avviavano verso le stanze patronali.
Dopo aver aiutato il suo padrone nello svolgere le consuete abluzioni, il maggiordomo riprese la parola. « Ho scelto per voi questa camicia da notte in lino, signore... sono convinto che saprà ripararvi dal freddo nel modo più appropriato... »
« Sono d’accordo... siete veramente efficente nel vostro lavoro, Lefroy! Accurato, preciso, non lasciate nulla al caso... sono veramente orgoglioso di poter vantare una presenza come la vostra nelle filedel mio personale! », esclamò Richard, finendo di indossare la veste da camera.
La voce del servitore era diventata appena un sussurro, mentre il solito rossore andava d imporporargli le guance candide. « Signore, voi mi lusingate troppo, faccio solamente il mio dovere... »
« Invece voi siete troppo modesto e poco avvezzo a ricevere complimenti! », ribattè Richard, anche se con poco entusiasmo; la sua mente, ormai, era già proiettata verso altri pensieri.
L’uomo si infilò sotto le coperte, rabbrividendo appena, mentre il suo servitore si apprestava a spegnere le candele.
« Meno ventinove... », sospirarono entrambi, quasi all’unisono.
« Cosa avete detto, Lefroy?! », chiese, stupito, il signor Dashwood.
« Scusate, è stato un riflesso involontario... ormai è da qualche sera che sono solito contare i giorni che mancano a un avvenimento particolare, che, credo, mi ruberà l’ultima possibilità di essere felice... e voi, se posso chiedere? », spiegò Hanry, cercando di reprimere la malinconia che lo stava per assalire.
« Lo stesso... suppongo... », rispose, intanto, l’altro, sospirando nuovamente. « Va bene... dopo questa strana coincidenza, meglio che vi lasci andare... sarete sicuramente stanco! ».
« Buona nottata, signore... con permesso... », si congedò brevemente il maggiordomo, prima di uscire dalla stanza portando con sè l’unico candelabro ancora acceso.
I giorni seguenti trascorsero nella più piatta monotonia. Ormai Lefroy si era ambientanto bene nella villa e tutti gli altri domestici avevano imparato a rispettarlo e ammirarlo, mentre il signor Dashwood si era reso conto di avere al suo fianco non solo un egregio servitore, ma anche un possibile buon amico e confidente.
« Signore, la signorina Knightley è qui per voi... », annunciò un cameriere, mentre Mr. Dashwood si stava gustando la sua tazza di caffè amaro.
« Fatela accomodare nella sala da tè e preparate un rinfresco, presto! », ordinò in risposta il padrone, alzandosi immediatamente e gettando il giornale sul tavolo della colazione.
Dopo aver controllato di essere presentabile e, allo stesso tempo, essersi maledetto per aver concesso la mattinata libera a Lefroy proprio quel giorno, il signor Dashwood si affrettò ad andare a ricevere la sua ospite inaspettata.
« Signorina Knightley, che piacere rivedervi! », esordì, attirando l’attenzione di lei, troppo impegnata nell’osservazione di un dipinto per accorgersi del suo ingresso.
« Signor Dashwood... scusate l’invasione... ma desideravo vedervi, prima di partire per Londra... », rispose Lucie, prima di tornare a sedersi sul divanetto damascato, cercando di sistemare al meglio il suo vestito di mussola verde.
« Quindi siete in partenza? ». Nella voce di Richard non si poteva non notare una nota di dispiacere.
Lucie iniziò a giocherellare con una ciocca dei suoi lunghi capelli castani, mentre il suo sguardo fuggiva disperatamente quello del suo interlocutore. « Si, signore... fra dieci giorni mi sposo, quindi domani ci trasferiremo nella nostra residenza londinese, Erwhile House... ».
« Capisco... », il ragazzo non sapeva più cosa dire, consapevole anche del fatto che non sarebbe riuscito a reprimere ancora per molto il suo dispiacere.
« In ogni caso, non volevo andarmene prima di avervi salutato... spero di non sembrarvi impudente, ma non posso trattenermi ancora nel dirvi che, sicuramente, sentirò molto la vostra mancanza... », la voce di Lucie si incrinò sull’ultima parola, tradendo così la profonda tristezza che la ragazza stava provando.
Richard era rimasto così sorpreso da quella strana dichiarazione, che, senza volerlo, si era irrigidito, mentre mille pensieri e frasi da dire si accalcavano nella sua mente, cercando di soggiogarsi vicendevolmente.
« Anche io la vostra... mi dispiace dovermi separare da voi e, forse, se fossi stato un uomo più intelligente, sarei venuto a confessarvelo molto tempo fa... », alla fine la parole uscirono dalle sue labbra in modo spontaneo, sincero. « Secondo voi, non avremo più possibilità di rivederci? », aggiunse poi, tentando di aggrapparsi ad un ultimo brandello di speranza.
« Signore, temo di no... subito dopo il matrimonio io mi dovrò trasferire nella tenuta in campanga del mio futuro marito... dubito che avremo occasione di rivederci... anche per questo ho tanto insistito per passare a farvi visita, quest’oggi...».
La risposta che Richard non avrebbe voluto sentire era arrivata, privandolo, ormai, di qualsiasi appiglio che lo potesse salvare dal baratro della disperazione. Si poteva veramente arrivare a soffrire così tanto per amore?
« Capisco... io..», provò a rispondere l’uomo, prima di essere bruscamente interrotto dalla sua interlocutrice.
« Mi dispiace... si è fatto davvero tardi e io devo tornare subito a casa! », esclamò lei, alzandosi dal divano e dirigendosi velocemente verso la porta della stanza. Con una mano sulla maniglia d’ottone, Lucie si voltò per l’ultima volta verso i signor Dashwood, che, intanto, l’aveva seguita e, senza riflettere, poggiò delicatamente le sue labbra su quelle di lui. « Buona giornata, signore... », si congedò, alla fine, con una riverenza frettolosa, lasciando il signore pietrificato dietro di sè.
Quando Hanry tornò a casa, dopo la sua mattinata libera, trovò il suo padrone in uno stato di grande agitazione.
« Signore, vi vedo molto preoccupato, c’è niente che io possa fare per aiutarvi? », si informò, cercando di contenere l’anisa che provava in quel momento.
« No no... niente... non c’è più niente da fare! », esclamò Richard, in tono concitato. « Anzi si... una cosa c’è! Presto Lefroy, preparami i bagagli! Domani parto! », l’uomo sembrava preda di spasmi febbrili, ciononostante, il maggiordomo, che nel frattempo si era ritirato nel camerino per indossare la livrea nera, che metteva ancora più in risalto il suo incarnato pallido e i suoi occhi cristallini, si affrettò a tornare dal suo padrone, pronto ad eseguire qualsiasi suo ordine.
« Partire? E per dove, signore? », chiese il servitore, iniziando, comunque, a scegliere alcuni abiti per il viaggio.
« Londra, perbacco! E per dove, altrimenti?! », rispose il signor Dashwood, se possibile, ancora più agitato di prima.
« La prego, signore, si calmi! Sono stato via solamente poche ore e, quando torno, vi ritrovo in questo stato?! Mi è concesso chiedere cosa sia successo? », intervenne Hanry, cercando di contenere i movimenti dell’altro uomo.
Richard si lasciò cadere pesantemente su una poltrona, nascondendo il volto tra le sue grandi mani. « Succede che sto impazzedo! Andare a Londra... e poi? Chiederle di fuggire con me? Proporle di compiere qualcosa che rovinerebbe la sua reputazione per sempre? Eppure lei mi ama, ne sono certo! Però ormai è tardi... »
Il valletto era sempre più confuso. « Non vi capisco, signore... so di essere solo un vostro umile servo, ma, davvero, io sono qui anche per ascoltarvi, per aiutarvi! », cercò di incoraggiarlo lui, nella speranza di riuscire a comprendere meglio la situazione.
« L’ho persa, Lefroy, ormai l’ho persa! Non amerò mai nessuno, come ho amato lei... sono stato uno stupido, un codardo! », continuò a delirare il signor Dashwood.
« Ma chi avete perso, signore? », lo interrogò, nuovamente, Hanry.
« La signorina Knightley, la mia Lucie! Sta per andarsene, e con lei anche la mia possibilità di essere felice... », la voce del signore era carica di rimpianto e disperazione.
Hanry, invece, era inaspettatamente indignato, irritato. « Non voglio sentirvi parlare così per una donna! Siete così afflitto per la sua perdita, da non accorgervi del mio amore! »
Richard sgranò gli occhi, cercando di capire se veramente aveva udito bene. « Cosa state dicendo, Lefr... », provò a chiedere, ma subito le sue labbra vennero prepotentemente imprigionate in un bacio passionale.
Il signor Dashwood cercò in tutti i modi di liberarsi dalla presa del suo maggiordomo, che, nonostante il suo gracile aspetto, stava dimostrando di possedere una notevole forza.
Sempre più disgustato da quel trattamento così intimo che lui non aveva richiesto, Richard si aggrappò saldamente ai capelli biondastri del suo servitore, che continuava a sovrastarlo, iniziando a tirarli con energia. Quello che accadde poi fu completamente insapettato e sconvolgente; l’uomo si ritrovava ora a stringere tra le mani una parrucca, mentre una fluente chioma di capelli color nocciola ricadeva sulle esili spalle del maggiordomo.
« Lucie! », esclamò Richard, tra lo spaventato e lo sconvolto.
« Lucie, Lucie, Lucie... ancora questa Lucie! Se potessi, la ucciderei! », urlò, allora, Hanry, più adirato che mai, scostandosi dal suo padrone per riassumere una posizione eretta. Il suo sguardo si posò, poi, sulla grande specchiera che costituiva metà della parete dello spogliatoio e al signor Dashwood parve di scorgere un lapmo di rabbia nei suoi occhi.
« È lei, è lei! », continuò a gridare il servitore, fuori di sè, prima di afferrare uno dei vasi appoggiati sopra il camino e lanciarlo contro la sua immagine riflessa nello specchio, che subito si frantumò.
Tutto quel frastuono aveva fatto accorrere buona parte dei domestici, preoccupati per quello che stava accadendo nelle stanze del loro padrone.
« Io la ucciderò, io la ucciderò! Lei non vi avrà, no, mai! Sarò io a vincere! », il volto del giovane era completamente sfigurato dalla follia, che ormai si era imposessata di lui. Velocemente, il maggiordomo raccolse da terra una delle schegge di vetro ed iniziò a farsi dei piccoli tagli sui polsi, osservando con macabro piacere il colore rosso del suo stesso sangue che fuoriusciva dalle ferite.
« Lucie, cosa stai facendo?! Vincere?! Stai lottando contro la tua ombra, come puoi sperare di vincere?! Ti prego, calmati! », intervenne il signor Dashwood, nel tentativo di distogliere la sua amata da quei piani suicidi.
Ma era tutto inutile. Come aveva già detto lui stesso, ormai l’aveva persa.
Notando la difficoltà del loro padrone, lo stalliere e un cameriere corsero in suo aiuto, bloccando quella furia scatenata.
La pazzia le aveva donato una forza incredibile, tanto che i due uomini faticavano a tenerla ferma. Cercando di non pensare che quella era la dolce ragazza che tutti gli abitanti della villa avevano visto crescere e diventare quel bellissimo fiore prezioso e puro, che credevano che fosse, i domestici la trascinarono via, mentre Richard, ancora sconvolto, fissava le macchie rosso cremisi che risaltavano sullo sfondo bianco della sua camicia.

Era una soleggiata mattina di primavera, quando il signor Dashwood e suo suocero, William Tinley decisero di uscire per una passeggiata a cavallo. Una bella corsa sullo sterrato sarebbe stata un vero toccasana dopo una nottata di festeggiamenti.
Senza quasi rendersene conto, i due uomini si spinsero oltre i confini della loro tenuta, arrivando sulla cima di una collinetta, da dove si poteva scorgere, in lontananza, l’imponente struttura del manicomio di Hunsford.
Lo sguardo di Richard indugiò su quel paesaggio, che risvegliava in lui tristi ricordi.
« Questo posto è davvero inquietante! Sembra quasi di poter udire le urla dei suoi abitanti, come se il vento le facesse giungere alle nostre orecchie... », commentò, alla fine, il signor Tinley.
Il suo compagno di escursione si limitò ad annuire, ma questo non fece desistere l’uomo, che si sentì autorizzato a continuare il suo discorso. « Brutta cosa, la follia... voi cosa ne pensate? »
Richard rimase in silenzio ancora per qualche istante, riflettendo. « Shakespeare disse: “La follia, mio signore, come il sole se ne va passeggiando per il mondo, e non c'è luogo dove non risplenda.”, ma io, invece, la paragonerei al lato oscuro della Luna, un luogo lontano e sconosciuto, che però, di per sè, non esiste. Come faccio ad affermare che qualcuno è un folle e allo stesso tempo avere la certezza di non essere folle pure io? La ragione compie una rotazione sincrona a quella della mente umana, come fa la Luna, quando ruota su se stessa e intorno alla Terra, tanto da mostrarci sempre la stessa faccia.
Ecco, la follia è il lato oscuro della ragione.»
 
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